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  Costi umani ed economici

 
   Approfondimenti:
L'errore in medicina
Il problema degli errori in medicina e della malpractice
Dati internazionali


   Si inizia a parlare di errore in medicina e della sua prevenzione piuttosto tardivamente rispetto ad altri settori lavorativi ad alto rischio come, ad esempio, i sistemi di trasporto ferroviario ed aereo, le centrali nucleari, gli impianti chimici. Questo anche perché le conseguenze dell'errore umano in questi settori possono essere catastrofiche e dunque di pubblico dominio, mentre nel caso dell'errore in medicina le conseguenze riguardano tutto al più singole persone.

   I primi studi su questo tema risalgono agli inizi degli anni '90 (Leape et al., 1991; Wilson et al. 1995; Vincent, 1997), ma è soprattutto con la pubblicazione del rapporto To err  is human (2000) da parte dell'Institute of Medicine che il tema dell'errore umano in medicina è posto al centro dell'attenzione sia degli studiosi di temi dell'affidabilità e degli errori, sia della comunità professionale dei medici che dell'opinione pubblica.

   In questo rapporto si denunciava, attraverso un'analisi dettagliata di alcuni studi, l'inquietante fenomeno delle malpractice e delle morti prevenibili negli ospedali americani.

USA

   Il primo studio di ampio respiro è stato condotto nel 1974 in California (California Medical Insurance Feasibility Study). Tale studio esaminava gli eventi dovuti a trattamento medico che causavano una disabilità o un prolungamento del ricovero ospedaliero (Mills 1977) sulla base della sua metodologia sono state realizzate successivamente le indagini più recenti (Thomas 2001),

Il rapporto To err is human

   La commissione che realizzò il rapporto To err  is human (2000) evidenziò, attraverso due ricerche condotte nel Colorado e nell'Utah nel 1992 - Utah and Colorado Medical Practice Study  (UCNPS) (Thomas 1999, Thomas 2000) e nello Stato di New York The Harvard medical practice study (HMPS) (Brennan 1991), elevati tassi di mortalità per eventi avversi.

  Nello studio del Colorado, su 100 pazienti ricoverati, ben il 2,9% incorreva in un evento avverso e nel 6,6% dei casi tale evento ne causava il decesso. Tali tassi, proiettati su 33,6 milioni di ricoveri/anno negli Stati Uniti, stimavano in 44 mila il numero di pazienti deceduti per eventi avversi, il 53% dei quali prevenibili.

   Nella ricerca svolta nello Stato di New York, i risultati erano ancora più preoccupanti. Su 100 pazienti ricoverati in ospedale, il 3,7% incorreva in un evento avverso che nel 13,6% dei casi causava il decesso. La proiezione sul numero dei ricoveri annuali stimava in 98 mila, i pazienti deceduti  per eventi avversi, di cui il 58% prevenibili e solo il 29% attribuibili alla  negligenza dell'operatore sanitario.

Australia - La ricerca The Quality in Australian healthcare study

   Un'altra importante ricerca è stata The Quality in Australian healthcare study (QAHS) (Wilson 1995, Wilson 1999) condotto nel 1992. In questo studio fu utilizzata una metodologia simile al HMPS. L'obiettivo era dare informazioni per le future strategie per migliorare la qualità, per cui l'attenzione era centrata sugli eventi avversi "prevenibili". Tale approccio identificava un più ampio gruppo di eventi rispetto a quelli solo dovuti a imperizia (che sono appunto un sottoinsieme dei precedenti), spiegando i diversi risultati rispetto allo studio precedente. Veniva esaminato un campione casuale di 14.179 pazienti scelto da un campione di 8 ospedali in South Australia e New South Wales.

I principali risultati dello studio potevano essere così sintetizzati:

a) eventi avversi si avevano nel 16.6% dei ricoveri;

b) di questi: il 13.7% aveva causato disabilità permanente ed il 4.9% morte del  paziente;

c) il 50.3% degli eventi avversi era correlato al trattamento chirurgico;

d) il 13.6% degli eventi avversi era dovuto ad errori diagnostici ed il 12.0% ad errori terapeutici;

a) gli eventi avversi "prevenibili" rappresentavano il 51% del totale degli eventi avversi.

   Lo studio evidenziava infine che circa l'11% degli errori erano dovuti a mancanza di assistenza ed attenzione o attenzione insufficiente al paziente.

UK - Adverse event in British hospital (2001)

   L'epidemiologia degli eventi avversi è stata studiata in Gran Bretagna mediante uno studio di tipo retrospettivo condotto su 1014 cartelle cliniche ed infermieristiche. I risultati mostravano che il 10,8% dei pazienti aveva avuto una esperienza di evento avverso. Tale percentuale aumentava (11,7%) se venivano inclusi gli eventi avversi multipli. Circa la metà di questi eventi era giudicata prevenibile applicando i normali standard di cura. Un terzo di questi eventi aveva determinato danni moderati o gravi o la morte del paziente.

Ricerche specifiche

   Oltre alla suddette ricerche di carattere generale sono state realizzate  più specifiche su singole problematiche.

Complicazioni perioperatorie (USA)

   Tale problematica è stata studiata sia nell'ambito di studi di carattere generale, sia in studi specifici. In particolare  l'UCNPS  (Utah e Colorado 1992) forniva alcune informazioni aggiuntive sulle morti perioperatorie (Gawande 1992), evidenziando:

a) la presenza di eventi avversi nel 3% dei pazienti che avevano avuto un intervento chirurgico, di cui più della metà (54%) erano prevenibili;

b) di questi, il 5.6% aveva causato la morte del  paziente; questi casi rappresentavano il 12.2%  mortalità ospedaliera totale;

c) gli interventi più frequentemente a rischio di eventi avversi "prevenibili" erano: innesto di by-pass degli arti inferiori (11%), riparazione aneurisma aorta addominale (8.1%),  by-pass coronaria/chirurgia valvole cardiache(4.7%), resezione transuretrale prostata/tumore vescica (3.9%), colecistectomia (3.0%), isterectomia (2.8%) ed appendicetomia (1.5%);

d) complicazioni correlate alla tecnica utilizzata, infezione ferite, sanguinamenti post-operatori rappresentavano circa la metà degli eventi avversi in chirurgia.

The National Veterans Affairs Surgical Risk Study (USA)

   Questo studio (Khuri 1995) è stato condotto (USA 1991) in 44 Centri Medici della Veterans Administration raccogliendo informazioni sulla mortalità e morbilità per la  maggior parte delle procedure chirurgiche non cardiache. Lo studio rappresentava un avanzamento sul piano metodologico introducendo il concetto di aggiustamento per il rischio dei pazienti nei confronti tra centri (Khuri 1997). Infatti lo studio non valutava direttamente errori o complicanze inattese, ma effettuava un confronto tra i Centri aggiustato per il livello di rischio dei pazienti trattati, tenendo conto cioè di età ed altre malattie che possono influenzare l'esito. Pertanto, le differenze di esito osservate tra Centri, una volta "aggiustate" per la tipologia di pazienti trattati, avrebbero dovuto essere imputabili al processo di assistenza erogato nello specifico centro.

Alcuni risultati dello studio evidenziavano che:

a) la mortalità a 30 giorni era del 3.1% (variazione tra ospedali non aggiustata: 1.2%-5.4%)

b) morbilità post-operatoria era del 17.4% (variazione tra ospedali non aggiustata.: 7.4%-28.4%)

c) complicazioni più comuni: polmonite (3.7%), infezioni ferite superficiali (2.6%) e profonde (2.6%), mancato distacco dal ventilatore dopo 48 ore (3.3%), infezioni urinarie (3.6%).

The National Confidential Enquiry into Perioperative Deaths (NCEPOD - UK)

   E' stato uno studio cooperativo effettuato periodicamente da anestesisti e chirurghi nel Regno Unito (Campling 1992, Burke 2001).  L'obiettivo primario dello studio era valutare la pratica clinica e individuare i fattori potenzialmente correggibili in chirurgia, anestesia ed in altre procedure mediche invasive. Lo studio focalizzava l'attenzione sui decessi avvenuti entro 30 giorni da un intervento chirurgico, senza prendere in considerazione altri aspetti di errore/eventi avversi.  Le indagini, dopo aver selezionano un campione di circa 1500-2000 deceduti entro 30 giorni da un intervento chirurgico, si basavano su raccolta di informazioni mediante un dettagliato questionario inviato al chirurgo ed all'anestesista responsabile al moneto dell'intervento. La valutazione dei dati raccolti si basava sul principio della "revisione tra pari" (peer rewiev) effettuata da consulenti qualificati nominati da associazioni e collegi professionali. Il progetto iniziò nel 1990 e, fino al 2001, sono stati pubblicati 13 report.

   Il confronto tra i risultati di successive indagini ha permesso di valutare la evoluzione nel tempo di specifici aspetti della assistenza (tabella 1). Ad esempio è  interessante osservare come il decesso fosse ritenuto, prima dell'intervento, inatteso nel 14-15% dei casi e piccolo, anche se presente, nel 22-24% dei casi. In altri termini il rischio di morte valutato da chirurgo/anestesista era ritenuto di modesta entità in circa 1/3 dei pazienti poi deceduti in conseguenza dell'intervento stesso.

 

RISCHIO DI MORTE

1999/2000

1990

-Evento inatteso

15%

14%

-Rischio piccolo ma significativo

22%

24%

-Rischio definito

54%

50%

-Evento atteso

8%

3%

-Totale casi  esaminati

1606

2558

Tabella 1 - Rischio di morte definito prima dell'intervento prospettato in due indagini consecutive, anni 1990 e 1999/2000

   Il decesso di un paziente è generalmente la conseguenza di una serie di fattori tra loro intercorrelati, alcuni dei quali sono prevenibili o correggibili, mentre altri sono non modificabili. Lo scopo delle indagini è stato quello di identificare i fattori del primo gruppo e di fornire delle raccomandazioni affinché questi possono essere eliminati.  Le raccomandazioni prendono in considerazioni aspetti organizzativi, relativi a dotazioni strumentali ed al comportamento e modalità di azione dello staff medico.

 

   A titolo esemplificativo vengono di seguito riportati alcuni dei problemi evidenziati  e delle raccomandazioni  cliniche ed organizzative tratte dal report 2001 (Burke 2001), sia di carattere generale che relativo a specifiche problematiche.

a) "I chirurghi e gli anestesisti devono partecipare a audit multidisciplinari, incontrandosi insieme per discutere il miglioramento delle cure. Questi incontri devono concentrasi meno nel chiedersi: "Di chi è la colpa?" e di più sui sistemi di cambiamento della pratica clinica per assicurare, quando possibile, la sicurezza dei pazienti ".

b) "C'è un gap di preparazione nei livelli di competenza del personale medico e infermieristico tra i servizi di assistenza intensiva e  quello dei reparti di assistenza di base. In particolare c'è la necessità di aumentare la preparazione degli infermieri e dei medici dei reparti di base nel monitoraggio e nella interpretazione della pressione centrale venosa (CVP). Deve essere posta attenzione a questa carenza. Ci devono essere sufficienti strumentazioni di reparto per consentire un monitoraggio della CVP accurato e continuo. E' necessario un maggior numero di programmi a livello locale e nazionale per una adeguata formazione specialistica per applicare queste tecniche nell'ambito dei reparti.

c) "I pazienti con tumore vengono trattati in unità e centri con importanti differenze nella dimensione della casistica trattata e nella esperienza. In alcune realtà la casistica trattata è di dimensioni così ridotte da far dubitare che i clinici siano in grado di mantenere una adeguata esperienza clinica."

d) "Alcuni pazienti con tumore sono sottoposti a lunghe e complesse procedure chirurgiche palliative, dove il beneficio del trattamento chirurgico non è chiaro".

e) "I pazienti traumatizzati hanno maggior probabilità di subire ritardi nell'assistenza per ragioni non mediche che quelli di altre specialità".

f) "Prendere in considerazione precocemente procedure diagnostiche o terapeutiche radiologiche può far evitare interventi chirurgici in pazienti ad alto rischio".

Eventi avversi da farmaci

   Numerosi degli studi precedentemente citati (HMPS, QAHS, UCNPS ) hanno evidenziato che gli eventi avversi da farmaci sono gli eventi avversi più comuni da cause non chirurgiche. Gli studi sulla specifica problematica hanno confermato l'importanza di tale problema, stimando che  tali eventi avversi si verifichino nel 2.5% - 6.5% dei ricoveri (Bates 1993, Claseen 1993). In alcuni casi si tratta di errori da somministrazione (es. somministrazione di farmaco errato, dose errata, via di somministrazione errata ecc.), in altri casi di errori di omissione (mancata somministrazione del farmaco prescritto) (Kohn 2000). Gli errori legati alla somministrazione di farmaci sono considerati in larga parte  prevenibili, con un range  tra i diversi studi che varia  dal 28% al 56% dei casi (Bates 1993, Bates 1995, Claseen 1997). Nella tabella 2 viene riportato un elenco delle più comuni cause di errore, tratte da uno studio di Lesar del 1997 (Lesar 1997).

TIPO DI ERRORE

Frequenza(%)

-Alterazioni della funzione renale o epatica che richiedono adattamento del dosaggio

14

-Storia di allergia alla stessa classe di farmaci

12

-Errori nel nome, formulazione, abbreviazioni

11

-Errato calcolo del dosaggio

11

-Dosaggio atipico o critico

11

 Tabella  2 - Le più comuni cause di errore nella somministrazione di farmaci (Lesar 1997)

 

   Errori si verificano anche nella fase di consegna del farmaco da parte del farmacista, comportanti nella maggioranza dei casi un farmaco errato o una errato dosaggio (Khon 2000). In particolare riveste importanza l'impropria compilazione della prescrizione. 

   In molti ospedali americani sono stati attivati sistemi di monitoraggio degli errori di somministrazione di farmaci e di reazioni avverse ai farmaci. Per ridurre le probabilità di importanti errori è stato suggerito l'uso di sistemi informatizzati di prescrizione e di ordinazione dei farmaci (Bates 1998).

   Esiste infine la possibilità di errori da parte dei pazienti stessi nella assunzione di farmaci, in particolare in caso di anziani e terapie complesse (Khon 2000).

Dati italiani

   Le uniche informazioni disponibili sulla realtà italiana fanno riferimento alla indagine svolta da Cittadinanza Attiva.

   Si tratta di una ricerca che ha utilizzato le segnalazioni di eventi provenienti dalla sala operativa centrale e dalla rete sul territorio.

   Ad aprile 2002 sono state classificate oltre 50 mila segnalazioni. Riguardo ai sospetti errori di diagnosi e di terapia, la ricerca ha evidenziato alcune caratteristiche comuni:

tendenza alla ripetitività degli errori segnalati all'interno di una stessa area di riferimento;

oomogeneità dei dati per provenienza geografica;

una lieve prevalenza dei dati relativi ad errori sospetti commessi nei piccoli ospedali o negli ambulatori privati situati in piccoli centri.

Le prime quattro aree di provenienza delle segnalazioni sono:

-Ortopedia e traumatologia

16,5

-Oncologia

13

-Ostetricia e ginecologia

10,8

-Chirurgia generale

10,6

Nel complesso raggruppano più del 50% del totale delle segnalazioni.

In base alla tipologia, gli errori possono essere suddivisi in:

-Ritardo nella diagnosi

22,5

-Interpretazione errata di test o indagini strumentali

53,2

-Uso di test diagnostici non appropriati

5,2

-Errori vari

19,1

   In ambito epidemiologico gli unici dati italiani che possono fornire un'idea parziale della situazione, sebbene non riconducibile direttamente alle malpractice, sono quelli sulle morti prevenibili, pubblicati  di recente nell'Atlante della Sanità Italiana (Atlante della sanità, 2002). Nel 1995 sono stati calcolati 85 mila morti evitabili se fossero stati realizzati interventi di prevenzione primaria, diagnosi precoce e terapia e igiene ed assistenza sanitaria. Tale numero si è ridotto ad 80 mila nel 1997.

   Per gruppi di malattie dal 1995 al 1997 si sono ridotti del 8,2% i casi letali evitabili di malattie legate al sistema cardiocircolatorio e del 5,4% quelle legate a tumori.

   Alla luce di questi dati anche in Italia sono state promosse in questi ultimi due anni varie iniziative per il livello delle cure e messi a punto sistemi di gestione del rischio sanitario.

Costi economici

   Negli Stati Uniti si calcola tra i 17 e 29 miliardi di dollari la stima dei costi diretti e indiretti degli eventi avversi prevenibili.

   Non sono disponibili al momento dati precisi e affidabili sulla spesa in Italia. Sicuramente, a seguito del crescente numero dei risarcimenti, i premi assicurativi stanno progressivamente aumentando e i medici tendono sempre di più ad integrare l'assicurazione della struttura sanitaria  in cui operano con altre personali.